Uno dei primissimi esempi di coltivazione “fuori terra” della vite è probabilmente riconducibile al 240 a.C. quando, sotto il regno di Gerone II di Siracusa in Sicilia, in onore del re venne costruita un’imbarcazione con un giardino dalla bellezza orientale con sentieri e pergole di viti allevate in tinozze, come riporta un articolo del 1926 della storica francese Gothein M.L.. Anche storici ed artisti dell’antica Roma, riportano e descrivono le pergole di vite nelle terrazze romane, inspirate allo stesso “modello” del regno della Magna Grecia.
L’ipotesi di allevare la vite in assenza del terreno agrario non è pertanto di recente formulazione ed ha sempre destato fascino tra coloro che hanno avuto modo di coltivarla; a testimonianza delle antiche radici di tale tecnica di coltivazione a scopo ornamentale e produttivo ci sono anche le esperienze riportate da alcuni autori risalenti alla fine dell’ 800 che concordano nel sostenere che la vite così coltivata, entrasse più velocemente in produzione rispetto alla coltura tradizionale in terra.
In Inghilterra, ad esempio, accanto alla coltivazione delle viti da tavola sotto serre di vetro, si diffuse la pratica della forzatura in contenitore: il vantaggio di questa tecnica consisteva nel potere facilmente sostituire le piante meno produttive o quelle la cui fioritura non aveva dato buon esito; la forzatura consentiva a piante molto giovani di produrre, in soli sei mesi, fino a 6-8 grappoli, anticipando notevolmente la messa a frutto delle viti rispetto al tempo richiesto dalla coltivazione tradizionale sotto serra. Unico aspetto negativo era che non tutte i vitigni si adattavano bene a questo tipo di coltivazione (Foex G., 1891).
Nello stesso periodo si diffuse, in molte zone del centro–nord Europa, la coltura delle viti in vaso per ornamento dei balconi. A Bilbao, in Spagna, come in molte abitazioni francesi, era consuetudine ammirare balconi adornati da pergole di vite allevate in cassoni e cariche di uva.
Ottavi nel lontano 1893 riporta l'intervista del sig. D. M. Aranguren di Bilbao descrivendo le tecniche con cui ottiene grappoli "d'una bellezza rimarchevole".
Ottavi riporta inoltre le tecniche per anticipare la maturazione dei grappoli e venderli a prezzi elevati come primizie e su come favorire l'ingrossamento dei grappoli; dà un accenno inoltre alla coltivazione forzata delle viti realizzata portando i vasi in serre o ricorrendo all’ausilio delle stufe.
Il professore Longo in un suo articolo pubblicato nel luglio 1926 per "l'Italia agricola", afferma: “….la coltura delle uve in vaso potrebbe alimentare una piccola industria, come si pratica per alcune piante da frutto, col vantaggio che la vite si presta a dare un migliore ed un maggiore prodotto e che un bel vaso carico di grappoli dà maggior vaghezza e soddisfazione….”; l’autore ne esalta pertanto la maggiore produttività, la costanza, l’abbondanza e la qualità dell’uva. Descrive i vitigni che più si adattano alla coltivazione in vaso, i recipienti adatti, le tecniche di potatura verde e l'irrigazione e la concimazione che hanno dato i migliori risultati.
Riporta inoltre notizie relative ad un impianto ad hoc, forse il primo in Italia, realizzato nel 1925 da una Società Italiana per la produzione delle uve alimentari nell’Agro Romano, la “Parvus Ager” Roma, che metteva in commercio all’anno qualche migliaio di vasi di vite con uva per scopi ornamentali.
L’evoluzione dei sistemi produttivi nel campo agricolo e l’introduzione della fertirrigazione hanno indubbiamente rivoluzionato le tecniche di coltivazione tradizionali anche nel comparto dell’uva da tavola aumentando il grado di complessità degli impianti:
La coltivazione in fuori suolo dell’uva da tavola non è altro che una rivisitazione delle antiche tecniche di coltivazione della vite in vaso
Dalla moltiplicazione vegetativa agli interventi colturali in verde, dalla lavorazione del grappolo alla possibilità di forzare le viti a produrre in periodi diversi dall’ ordinario, si tratta in ogni caso di concetti sviluppati in modo sorprendente già da tempo.
Applicazioni diverse di questa tecnica di coltivazione si sono avute nel XX secolo nei programmi di miglioramento genetico allo scopo di ottenere piante esenti da virosi, accelerare la fruttificazione dei nuovi incroci, superare la fase giovanile di piante provenienti da colture in vitro e nei protocolli di selezione clonale come testimoniano alcuni lavori descritti da Fregoni (1985) e da Boubals et al., (1986).
Boubals evidenziò la facilità di lavorare con piante franche di piede allevate su lana di roccia, ed intravide anche l’opportunità di ottenere sotto serra due raccolte l’anno impiegando cultivar precoci. Le piante in contenitore venivano fatte affrancare temporaneamente al terreno per esaltarne la vigoria ed in modo da alimentare, con una soluzione nutritiva, una parte del sistema radicale accelerando quindi lo sviluppo della messa a frutto: i risultati erano secondo gli autori ben superiori a quelli ottenuti dalla pianta non affrancata a terra.
Il protocollo di formazione e di produzione delle piante di vite da tavola in fuori suolo è stato descritto per la prima volta da ricercatori francesi e neozelandesi intorno alla seconda metà degli anni ’90.
Nei primi anni del XXI secolo ebbe inizio in Sicilia un’intensa attività di ricerca incentrata sulla coltivazione dell’uva da tavola in fuori suolo sotto serra condotta dallo staff scientifico del prof. Rosario Di Lorenzo dell’Università degli Studi di Palermo col supporto finanziario e tecnico della Regione Siciliana.
I ricercatori francesi Vidaud e Landry del centro di Balandran CTFIL e (1991; 1994) focalizzarono gli studi sulla possibilità di compiere uno o più cicli di produzione e sull’ottenimento di due raccolte nello stesso l’anno partendo, per il secondo ciclo produttivo, da piante frigo-conservate.
Studi quasi contemporanei a quelli condotti dai francesi che validarono l’ applicazione della tecnica del fuori suolo per l'ottenimento di una produzione di qualità e rendere più efficiente lo spazio della serra, furono condotti dal centro di ricerca neo-zelandese Levin (Kingston et Van Epenhuijsen 1995): durante l’inverno le piante di vite vengono lasciate fuori per soddisfare il fabbisogno in freddo e, soltanto nella primavera successiva, vengono introdotte in serra per il ciclo produttivo.
I risultati ottenuti nei primi anni consentirono di affermare che la vite allevata in fuori suolo era, nelle condizioni climatiche mediterranee, in grado di garantire buone prestazioni sia a livello quantitativo che produttivo. Nel 2004 per la prima volta in agro di Vittoria un’azienda specializzata nella coltivazione dell’uva da tavola sotto serra realizzava 6 ha di vigneto in fuori suolo; l’esigenza dell’azienda era il superamento dei fenomeni di stanchezza del terreno molto più accentuati in ambiente protetto.
Le esperienze siciliane individuarono nell’adozione del fuori suolo dell’uva da tavola nuove opportunità per rendere più flessibile e dinamico il comparto dell’uva da tavola.